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27. Il nostro Yoga vi aggiunge la discesa della Luce e della Forza supermentale (suo scopo finale) e la trasformazione della natura. La consacrazione di sé non dipende dal particolare lavoro che si compie, ma dallo spirito col quale viene compiuto, qualunque esso sia. Ogni lavoro è un mezzo di consacrare se stesso mediante il Karma, se compiuto bene e accuratamente come sacrificio al Divino, senza desideri o egoismi, con equanimità, con calma tranquillità nella buona come nell'avversa fortuna, per amore del Divino e non per la ricerca di un guadagno, di una ricompensa o di un risultato personale, ma con la coscienza che ogni lavoro appartiene al Potere divino. Persino il lavoro più strettamente fisico e meccanico non può essere compiuto in modo appropriato se si accetta l'inerzia, la passività e l'incapacità. Il rimedio non consiste nel confinarsi in un lavoro meccanico, bensì nel respingere e scacciare l'incapacità, la passività e l'inerzia, aprendosi alla forza della Madre. Se la vanità, l'ambizione, l'orgoglio vi chiudono la strada, allontanateli da voi, non potete sbarazzarvi degli ostacoli semplicemente aspettando che scompaiano. Se aspettate unicamente che le cose avvengano da sole, 125 non vi è assolutamente alcuna ragione che questo accada. Se invece sono l'incapacità e la debolezza ad ostacolarvi, un po' alla volta, aprendovi sempre più sinceramente alla forza della Madre, l'energia e l'attitudine necessarie nel lavoro vi saranno date e cresceranno nell'adhar. Coloro che lavorano per la Madre in tutta sincerità si preparano con il lavoro stesso a ricevere la vera coscienza, anche se non si siedono a meditare o non seguono una pratica speciale di yoga. Non è necessario dirvi come meditare, tutto ciò che può esservi utile verrà da solo se nel vostro lavoro e in ogni istante siete sincero e vi mantenete aperto alla Madre. L'apertura nel lavoro è la stessa cosa che l'apertura nella coscienza. La stessa Forza che lavora nella vostra coscienza durante la meditazione e che dissipa le nubi e la confusione ogni qualvolta vi aprite ad essa, può incaricarsi delle vostre attività; non soltanto può mettere in evidenza i difetti nelle vostre azioni, ma può rendervi coscienti di ciò che dovete fare, e guidarvi la mente e le mani a compierlo. Se vi aprite ad essa nel vostro lavoro, comincerete a sentire sempre di più la sua guida fino a percepire la Forza della Madre dietro ad ogni vostra attività. Il lavoro è possibile a qualsiasi stadio della sadhana; non vi è nessun passaggio sul sentiero che battete, dove non ci sia un punto d'appoggio, e in cui si debba rinunciare alla azione col pretesto che è incompatibile con la concentrazione sul Divino. Il punto d'appoggio è sempre là; ci si deve appoggiare al Divino, aprire a Lui l'essere, la volontà, le energie, e fare atto di sommissione. Ogni lavoro svolto in questo spirito può diventare un mezzo per la sadhana. Può divenire necessario per un individuo immergersi nella meditazione per un certo periodo e durante quel tempo interrompere il lavoro o assegnargli un'importanza secondaria; ma non può avvenire che in casi individuali e per un ritiro temporaneo. Inoltre, una completa interruzione del lavoro e il rinchiudersi interamente in se stessi sono raramente consigliabili; possono incoraggiare uno stato troppo esclusivo e visionario, ove si vive in una sorta di mondo intermedio di esperienze puramente soggettive, senza una solida presa né sulla realtà esteriore né sulla Realtà suprema, e senza utilizzare correttamente l'esperienza soggettiva per creare un solido legame, e 126 poi l'unificazione tra la Realtà suprema e la realizzazione esteriore nella vita. Il lavoro può essere di due generi: un campo d'esperienze utilizzato per la sadhana, per armonizzare e trasformare progressivamente l'essere e le sue attività, e un'espressione realizzata del Divino. Ma quest'ultimo può essere compiuto solo al momento in cui la Realizzazione sia stata pienamente introdotta nella coscienza terrestre; fino a quel momento il lavoro deve essere un terreno di allenamento, una scuola di esperienza. Non ho mai escluso la bhakti, e neppure ricordo di aver proibito la meditazione. Nel mio Yoga, ho insistito sulla bhakti e sulla conoscenza, e altrettanto sulle opere, anche se non ho dato ad alcuna di esse un'importanza esclusiva come l'hanno data Shankara o Chaitanya. La difficoltà che voi provate e che qualsiasi sadhaka prova nella sadhana, non viene da un contrasto tra la meditazione, la bhakti o il lavoro. La difficoltà sta nell'atteggiamento da assumere, nell'approccio o come meglio volete chiamarlo. Se non potete ancora ricordarvi in modo continuo del Divino quando lavorate, non ha grande importanza. Vi dovrebbe bastare per il momento ricordare e consacrare il vostro lavoro quando lo cominciate, e ringraziare quando lo finite, o almeno ricordarvene quando vi arrestate un momento. Il vostro metodo mi pare piuttosto penoso e difficile; sembra che cerchiate di impiegare una stessa e sola parte della mente nel ricordare il Divino e nel lavoro. Non so se sia possibile. Quando ce ne ricordiamo continuamente durante il lavoro (cosa che si può fare) è generalmente con la parte della mente che sta dietro, oppure creando progressivamente una facoltà di sdoppiamento del pensiero o uno sdoppiamento della coscienza: una parte frontale che lavora, e una interiore che osserva e ricorda. Vi è pure un altro metodo, che fu il mio per molto tempo; è uno stato in cui il lavoro si fa automaticamente senza l'intervento del pensiero personale e dell'azione mentale, mentre la coscienza rimane silenziosamente immersa nel Divino. Ma questo stato non si ottiene tanto mediante lo sforzo quanto per un'aspirazione ed una volontà di consacrazione molto semplici e costanti, oppure con un movimento della coscienza che separa l'essere interiore dall'essere strumentale. 127 Fare scendere con l'aspirazione e la volontà di consacrazione una Forza più grande per compiere il lavoro, è un metodo che dà grandi risultati, anche se per certuni richiede un tempo assai lungo. Sapere in che modo far compiere le cose dal Potere che è dietro o al di sopra di noi, invece di voler fare tutto con lo sforzo della mente, è un gran segreto della sadhana. Non voglio dire con questo che lo sforzo mentale non sia necessario e che non dia risultati, ma se la mente cerca di far tutto da sé, si avrà uno sforzo talmente faticoso che solo gli atleti spirituali potranno sopportarlo. Non voglio dire neppure che l'altro metodo offra la scorciatoia tanto desiderata; come già dissi, il risultato può farsi aspettare a lungo. In ogni sadhana è necessario avere pazienza e solida risoluzione. La forza va bene per i forti; ma l'aspirazione e la Grazia che vi rispondono non sono un mito, bensì una grande realtà della vita spirituale. Per lavoro non intendo l'azione fatta nell'ego e nell'ignoranza, per la soddisfazione dell'ego e dietro l'impulso del desiderio rajasico. Non vi può essere Karmayoga senza la volontà di sbarazzarsi dell'ego, di rajas e del desiderio che sono i sigilli dell'ignoranza. Non parlo neppure di filantropia, né di servizio della umanità, né di tutti gli altri scopi morali o idealistici che la mente umana sostituisce alla verità profonda delle opere. Per lavoro intendo l'azione fatta per il Divino, sempre più in unione con il Divino, per il Divino solo e null'altro. Naturalmente, al principio non è facile, come non lo sono la meditazione profonda, la conoscenza luminosa, l'amore e la vera bhakti. Ma come tutto il resto, il lavoro dev'essere intrapreso nel vero spirito e con la vera disposizione d'animo, avendo dietro di sé la giusta volontà. Tutto il resto verrà da solo. Il lavoro compiuto con questo spirito è tanto efficace quanto la bhakti o la contemplazione. Spogliandosi del desiderio, di rajas e dell'ego, si ottiene una quiete e una purezza in cui la Pace ineffabile può scendere. Con la consacrazione della propria volontà al Divino, con l'immersione della propria volontà nella Volontà divina, si ottiene la morte dell'ego e l'espandersi nella coscienza cosmica oppure l'elevazione a ciò che è situato oltre il cosmico; si ha l'esperienza della separazione 128 del Purusha dalla Prakriti, e si è liberati dagli impedimenti della natura esteriore; si diviene coscienti del proprio essere interiore e si vede l'essere esteriore come strumento; si sente che questo lavoro è compiuto dalla Forza universale, mentre il Sé o Purusha osserva o è testimone, ma libero; ci si sente alleggeriti da tutto il lavoro che viene ormai assunto dalla Madre universale e suprema o dal Potere divino che dirige e agisce da dietro il cuore. Se tutta la volontà e tutto il lavoro vengono rivolti costantemente verso il Divino, l'amore e l'adorazione aumenteranno e l'essere psichico avanzerà. Se tutto si riporta al Potere che è in alto, si potrà arrivare a sentirlo al di sopra di noi, a sentire la sua discesa e l'apertura ad una coscienza e ad una conoscenza crescenti. Infine, lavoro, bhakti e conoscenza vanno di pari passo, e la perfezione di sé diviene possibile; è ciò che noi chiamiamo la trasformazione della natura. Questi risultati non avvengono certo tutti istantaneamente; giungono più o meno lentamente, in modo più o meno completo a seconda dello stato dell'essere e della sua evoluzione. Non esiste una via maestra che conduca alla realizzazione del Divino. Questo è il Karmayoga esposto dalla Gîta, come l'ho sviluppato per condurre alla vita spirituale integrale. Non si fonda sulle speculazioni e sui ragionamenti, ma sull'esperienza. Non esclude la meditazione e certamente non esclude la bhakti, poiché l'offerta di se stessi al Divino, la consacrazione totale di se stessi al Divino, che è l'essenza di questo Karmayoga, sono essenzialmente movimenti della bhakti. Invece rifiuta una meditazione esclusiva che sfugge la vita o una bhakti emotiva rinchiusa nel proprio sogno interiore, senza farne il movimento totale dello yoga. Si possono avere ore di rapimento in una pura meditazione o immobili adorazione ed estasi interiori, che non costituiscono tuttavia la totalità dello yoga integrale.
 

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