26

26. Ma spesso la Forza stessa viene per prima rispondendo alla concentrazione e al richiamo; dopo di che se questi procedimenti sono necessari, li utilizza o impiega qualsiasi altro mezzo o procedimento le sembri utile o indispensabile. Altra cosa ancora. In questo processo di lavoro e di discesa dai piani superiori, è molto importante non fare affidamento unicamente su se stessi, bensì affidarsi alla direzione del Guru, sottoponendo al suo giudizio, al suo arbitrio ed alla sua decisione tutto ciò che succede. Avviene spesso che le forze della natura inferiore, stimolate ed eccitate da questa discesa, vogliano mescolarsi per volgerla a loro profitto. Accade anche che una o più Forze, di natura antidivina, vogliano farsi passare per il Signore Supremo e per la Madre Divina, ed esigano dall'essere servigio e sottomissione. Se l'essere accetta le loro richieste, le conseguenze saranno assolutamente disastrose. Se il sadhaka si dà completamente all'azione del Divino, si sottomette e si abbandona alla sua sola direzione, allora tutto può procedere senza urti. L'abbandono e il rifiuto di tutte le forze egoiste, o di quelle che piacciono all'ego, sarà la salvaguardia del sadhaka per tutto lo svolgimento della sadhana. Ma le vie della natura sono piene di tranelli, i travestimenti dell'ego innumerevoli, le illusioni delle Potenze delle Tenebre, rakshasî maya, straordinariamente abili; la nostra ragione è una guida insufficiente che spesso tradisce; il desiderio vitale è continuamente con noi e ci spinge a seguire ogni allettevole richiamo. Per questo motivo insistiamo tanto nel nostro Yoga su ciò che chiamiamo samarpana, che l'espressione dono di sé rende assai male. Se il 121 centro del cuore è completamente aperto e lo psichico mantiene sempre il controllo, non si pone nessun problema e si è al sicuro. Ma lo psichico può essere ad ogni istante velato da un'ondata proveniente dal basso. Rari sono coloro che sfuggono a tali pericoli e sono quelli per i quali la sommissione è facile. In questa difficile impresa la direzione di qualcuno che è identificato al Divino, o che lo rappresenta, è imperativa e indispensabile. Ciò che vi ho scritto potrà aiutarvi ad avere qualche chiara idea di ciò che intendo quando parlo del procedimento centrale dello yoga. Ho scritto un po' a lungo, e tuttavia non ho potuto trattare che i soli punti fondamentali. Tutto ciò che dipende dalle circostanze e dai particolari si presenterà nella misura in cui si elabori il metodo, o meglio, in cui il metodo si elabori da se stesso, in quanto è quello che solitamente avviene quando incomincia in modo effettivo l'azione della sadhana. 3. Dono di sé e apertura (continuazione). Passiamo ora alla concentrazione. Generalmente la coscienza si diffonde dappertutto, si disperde e va in questa o quella direzione, dietro quel soggetto o quell'oggetto indefinitamente. Quando si vuol fare qualcosa di serio, come prima cosa si deve richiamare a sé tutta la coscienza dispersa e concentrarsi. Allora, se si osserva da vicino, si vede che la coscienza è spinta a concentrarsi in un solo punto, su una sola occupazione, soggetto o oggetto, come quando si compone una poesia o un botanico studia un fiore. Il luogo è generalmente in qualche parte del cervello o del cuore, a seconda che ci si concentri nel pensiero o nei sentimenti. La concentrazione yoghica è semplicemente un'estensione e un'intensificazione della stessa operazione. Si può fare su di un oggetto, come quando si fa tratak su un punto luminoso; ci si deve allora concentrare in modo da vedere solo quel punto e non avere nessun altro pensiero. Si può anche dirigere la concentrazione su un'idea, una parola o un nome: l'idea del Divino, la parola Om, il nome di Krishna, o sull'associazione di un'idea e una parola, o di un'idea e un nome. Ma quando si è più avanzati nello yoga, ci si concentra anche su un luogo speciale. Vi è la regola molto conosciuta di farlo tra le sopracciglia, è là che risiede il centro della 122 mente interiore, della visione occulta e della volontà. Ciò che si deve fare è pensare intensamente di là all'oggetto che si è scelto per la nostra concentrazione, oppure di là cercare di averne un'immagine. Se vi riuscite, sentirete dopo un certo tempo che la vostra coscienza è centrata in quel punto; per il tempo della concentrazione, beninteso. Dopo averlo fatto per un certo periodo e spesso, diventerà facile e normale. Spero di essere stato esplicito. Ebbene, nel nostro Yoga, si fa la stessa cosa, non necessariamente tra le sopracciglia, ma in qualsiasi punto della testa o nel mezzo del petto, là dove i fisiologi hanno situato il plesso cardiaco. Invece di concentrarvi su un oggetto, vi concentrate nella testa con una volontà, un richiamo a che scenda la pace dall'alto, oppure, come fanno certuni, per infrangere la barriera invisibile e permettere alla coscienza d'innalzarsi verso le alte sfere. Nel centro del cuore, ci si concentra nell'aspirazione ad un'apertura alla presenza dell'immagine vivente del Divino o per qualsiasi altro risultato. Si può fare japa (ripetizione d'un nome), ma, in quel caso, bisogna concentrarsi anche sul nome, che deve ripetersi da solo nel centro del cuore. Ci si può chiedere che cosa avvenga del resto della coscienza quando si procede con questo genere di concentrazione locale. Ebbene, essa diventa silenziosa, come in qualsiasi altra concentrazione o, se non lo fa, pensieri o altre cose possono muoversi come se fossero al di fuori di noi, ma la parte concentrata non se ne occupa e nemmeno li nota. È ciò che succede quando la concentrazione è ragionevolmente riuscita. Non ci si deve stancare all'inizio con una lunga concentrazione, se non si è abituati, poiché in una mente stanca la concentrazione perde il suo potere e il suo valore. Ci si può allora distendere e meditare invece di concentrarsi. Soltanto quando la concentrazione diventa normale, se ne possono sempre più allungare i periodi. 4. Il lavoro Rinchiudersi completamente in se stessi per avere delle esperienze e trascurare il lavoro e la coscienza esteriore significa non avere equilibrio e vedere un solo lato della sadhana, in quanto il nostro yoga è integrale. Anche gettarsi verso l'esterno e vivere 123 unicamente nell'essere esteriore è mancanza d'equilibrio e vedere un solo lato della sadhana. Si deve avere la stessa coscienza nell'esperienza interiore e nell'azione esteriore, ed entrambe devono essere colmate con la Madre. Avere un lavoro, aiuta a conservare l'equilibrio tra l'esperienza interiore e lo sviluppo esteriore, altrimenti si rischia di pendere da una sola parte, di mancare di misura e ponderazione. In più, è necessario intraprendere la sadhana del lavoro per il Divino perché permette infine al sadhaka di far passare nella natura e nella vita esteriori il progresso realizzato interiormente, contribuendo all'integralità della sadhana. Tutto dipende dallo stato interiore, le condizioni esteriori non sono utili che come mezzo e aiuto per esprimere o confermare lo stato interiore e renderlo dinamico ed efficace. Se fate o dite qualcosa quando lo psichico predomina o con un contatto interiore vero, sarà efficace, se invece fate o dite la stessa cosa sotto l'impulso della mente o del vitale, o in atmosfera cattiva o confusa, potrà risultare del tutto inefficace. Per fare la vera cosa, nella vera maniera, in ogni occasione ed in ogni momento, bisogna essere nella vera coscienza; non è però con una regola mentale fissa che si potrà ottenere un simile risultato, perché questa può convenire in certe circostanze e non convenire in altre. Si può ammettere un principio generale, se è conforme alla Verità, ma la sua applicazione dev'essere determinata dalla coscienza interiore che vede ad ogni passo ciò che si deve o non si deve fare. Questo è sempre più possibile se l'essere psichico predomina e se si è interamente rivolto verso la Madre ed obbediente allo psichico. Non è sufficiente assumere un atteggiamento generale: si deve offrire ogni lavoro alla Madre, per mantenere sempre attivo questo atteggiamento. Non bisogna meditare durante il lavoro, distrarrebbe l'attenzione, si deve invece mantenere costantemente il ricordo di Colui al quale il lavoro è offerto. Ma non è che una prima tappa; infatti quando la sensazione di un essere interiore, calmo, concentrato nella percezione della Presenza divina prenderà stabile dimora in voi, mentre la mente superficiale esegue il lavoro, o quando potrete incominciare a sentire in continuazione che è la forza della Madre che fa il lavoro, e che voi non siete altro che un canale o uno strumento, allora, invece di un ricordo, sarà incominciata la 124 realizzazione spontanea e costante dello yoga, ossia l'unione divina nel lavoro. L'unico lavoro che purifica spiritualmente è quello che si fa senza motivi personali, senza desiderare la fama, la pubblica riconoscenza o gli onori del mondo, senza avanzare le pretese dei movimenti mentali, le esigenze, i desideri vitali o le preferenze fisiche, senza vanità, senza volere brutalmente imporsi o cercare posizioni o prestigio; dev'essere un lavoro fatto per il solo amore del Divino, e sotto l'ordine del Divino. Ciò che si compie con spirito egoista, per quanto sembri ottimo alla gente che vive nel mondo dell'Ignoranza, non è di alcuna utilità per il ricercatore dello yoga. Nella vita ordinaria si compie un lavoro per uno scopo personale e per soddisfare i propri desideri sotto una direzione mentale o morale, a volte sotto l'influsso di un ideale mentale. Lo Yoga della Gîta ci permette invece di offrire il lavoro in sacrificio al Divino, di conquistare il desiderio, di agire senza ego e senza desideri, di avere bhakti per il Divino ed entrare nella coscienza cosmica, di sentire la propria unione con tutte le creature e col Divino.
 

Commenti

Post popolari in questo blog

9.

Sull'essere psichico 1.

32