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23. 3. Dono di sé e apertura Tutto il principio di questo Yoga è di darsi interamente e al solo Divino, a niente e a nessun altro, e di far scendere in noi mediante l'unione con la Madre divina, tutta la luce, il potere, l'ampiezza, la pace, la purezza,
la coscienza di Verità e l'ananda trascendenti del Divino supermentale. Radha (11) è la personificazione dell'amore assoluto per il Divino, amore totale e integrale in tutte le parti dell'essere, dalle sfere spirituali più elevate sino al fisico, che conduce
al dono assoluto di se stessi, alla consacrazione totale di tutto l'essere e fa discendere il Supremo ananda nel corpo e nella natura più materiale. Essere puri significa non accettare nessun influsso al di fuori di quello Divino. Essere fedeli significa non
accettare e non manifestare nessun altro movimento che non sia quello ispirato e guidato dal Divino. Essere sinceri significa elevare tutti i movimenti dell'essere al livello della coscienza e della realizzazione più alte che siano già state raggiunte. La sincerità
esige l'unificazione e l'armonizzazione di tutto l'essere, in tutte le sue parti e in tutti i suoi movimenti attorno alla divina Volontà centrale. Il Divino si dà a coloro che si danno al Divino, senza riserve e in tutte le parti del loro essere. Ad essi la
calma, la luce, il potere, la beatitudine, la libertà, l'ampiezza, le sommità della conoscenza e gli oceani dell'ananda. Parlare di sommissione o non avere che una pallida idea, un tepido desiderio della consacrazione integrale, non basta; bisogna volere con
slancio la trasformazione radicale e totale. 11 L'innamorata di Krishna, simboleggia l'amore e la devozione dell'anima per il Divino. 109 Non è adottando un semplice atteggiamento mentale che si può ottenere la trasformazione, e neppure mediante le numerose
esperienze interiori che lasciano l'uomo esteriore immutato. È l'uomo esteriore che deve aprirsi, sottomettersi e cambiare. La minima delle sue abitudini, delle sue azioni, il più piccolo dei suoi movimenti dev'essere sottomesso, veduto, presentato, esposto
alla Luce divina, offerto alla Forza divina affinché le sue antiche forme e moventi siano distrutti, e la Verità divina e l'azione della coscienza trasformatrice della Madre divina, li sostituiscano. Spiritualmente non ha gran senso mantenersi aperti alla Madre
se la sommissione è fatta con riserva. Il dono di sé, o sommissione, è indispensabile a tutti coloro che praticano questo Yoga, poiché senza un progressivo sottomettersi dell'essere, è assolutamente impossibile avvicinarsi minimamente alla meta. Tenersi aperti,
significa chiamare la Forza della Madre, perché entri e agisca in voi, ma se non vi abbandonate, è come non permettere alla Forza di agire, o porre la condizione ch'essa operi nella maniera da voi voluta, e non alla sua maniera che è quella della Verità divina.
Questo genere di suggestione deriva generalmente da qualche potere avverso o da qualche elemento egoista nella mente o nel vitale, che vuole la Grazia o la Forza, ma soltanto per utilizzarle ai propri fini e non vuol vivere per lo Scopo divino è ben disposto
a prendere dal Divino tutto ciò che può ottenere, ma non a darsi. L'anima, il vero essere, si volge invece verso il Divino, e non soltanto mette della buona volontà, ma si sottomette con ardore e gioia. Nel nostro Yoga è indispensabile superare ogni cultura
mentale idealista. Le idee e gli ideali appartengono alla mente e non sono che mezze-verità; la mente stessa si accontenta, il più delle volte, di nutrire semplicemente un ideale, pienamente soddisfatta dal piacere d'idealizzare, mentre la vita rimane sempre
la stessa, immutata o appena cambiata, e per lo più in apparenza. Il ricercatore spirituale non abbandona la ricerca della realizzazione semplicemente per idealizzare. Non l'idealizzare bensì la realizzazione della Verità divina resta sempre il suo scopo, tanto
oltre la vita che nella vita stessa, essendo in questo ultimo caso necessaria la trasformazione della mente e della vita, trasformazione 110 che non può aver luogo senza sottomettersi all'azione della Forza divina, alla Madre. La ricerca dell'Impersonale è
la via di coloro che vogliono ritirarsi dalla vita, e generalmente tentano di arrivarci mediante i propri sforzi, senza aprirsi a un Potere superiore e neppure mediante la sommissione. L'Impersonale non è qualcosa che guida o aiuta, ma è qualcosa da raggiungere,
che lascia ad ogni uomo la possibilità di raggiungerlo secondo i mezzi di cui dispone e la capacità della sua natura. Per contro, aprendosi e sottomettendosi alla Madre, insieme a tutti gli altri aspetti della Verità, si può anche realizzare l'Impersonale.
La sommissione deve necessariamente essere progressiva. Nessuno può averla totale sin dal principio; è infatti naturale constatarne l'assenza se ci si osserva con attenzione. Non è però una buona ragione per non accettare il principio della sommissione e non
tentare di renderla effettiva, con perseveranza, una tappa dopo l'altra, di zona in zona, applicandola successivamente a tutte le parti della natura. Nel primo periodo della sadhana (e con questo non intendo un breve periodo) lo sforzo è indispensabile. Beninteso,
bisogna sottomettersi, ma la sommissione non è cosa che si effettui in un giorno. La mente ha le sue idee e vi si aggrappa; il vitale umano offre resistenza alla sommissione, poiché ciò che egli chiama sommissione è al principio un dubbio dono di se stessi,
mescolato a esigenze; la coscienza fisica è come una pietra e ciò che essa chiama sommissione è spesso nient'altro che inerzia. Soltanto l'essere psichico sa sottomettersi, ma generalmente è molto velato all'inizio. Quando lo psichico si risveglia, può produrre
una brusca e reale sommissione di tutto l'essere, poiché le difficoltà sollevate dal resto sono presto superate e scompaiono rapidamente. Ma fino a quel momento lo sforzo è indispensabile o almeno necessario fino a quando la Forza dall'alto non si riversi a
fiotti nell'essere e, incaricandosi essa stessa della sadhana, si sostituisca al sadhaka, lasciando allo sforzo individuale una funzione sempre meno importante. Anche allora, tuttavia, l'aspirazione e la vigilanza, se non lo sforzo, sono necessarie fino a che
la mente, la volontà, la vita e il corpo non siano completamente posseduti dal Potere divino. Ho 111 trattato questo soggetto, mi pare, in uno dei capitoli del libro La Madre. Però vi sono persone che partono sin dall'inizio con la volontà sincera e dinamica
di fare un totale dono di sé. Sono quelle dirette dallo psichico o da una volontà mentale lucida ed illuminata, la quale una volta accettata la sommissione come legge della sadhana, non ammette più errori ed esige che le altre parti dell'essere seguano lo stesso
indirizzo. Qui vi è ancora sforzo, ma è così facile e spontaneo e si sente talmente sostenuto da una Forza che lo supera, che il sadhaka si rende appena conto di fare uno sforzo. Ma quando la mente e il vitale sono decisi a conservare la loro volontà autonoma
e si rifiutano di rinunciare all'indipendenza dei loro movimenti, ci sarà lotta e sforzo finché sia infranto il muro tra lo strumento che è in avanti e la Divinità che è dietro o al di sopra. È impossibile applicare per tutti una regola senza distinzione, le
diversità della natura umana sono troppo grandi perché un'unica regola definitiva convenga in tutti i casi. Esiste uno stato nel quale il sadhaka è cosciente della Forza divina che agisce in lui, o almeno dei suoi risultati, quando le attività mentali, la sua
irrequietezza vitale, l'oscurità e l'inerzia fisica, non frappongono ostacoli alla discesa o all'azione. Ciò significa essere aperti al Divino. Il dono di sé è il miglior mezzo per aprirsi, ma l'aspirazione e la tranquillità possono fino ad un certo punto condurvi,
sino a quando il dono di sé non sia completo. Sottomettersi significa consacrare al Divino tutto ciò che è in noi, offrirgli tutto ciò che si è, e tutto ciò che si ha, non insistendo sulle proprie idee, sui propri desideri abitudini, ecc., ma permettendo alla
Verità divina di sostituirli ovunque con la Sua conoscenza, la Sua volontà e la Sua azione. Restate sempre in contatto con la Forza divina. Il meglio per voi è di farlo semplicemente e di lasciarle compiere la sua opera. Dove sarà necessario, essa prenderà
possesso delle energie inferiori e le purificherà; in altri momenti, si svuoterà delle forze inferiori e vi colmerà di se stessa. Ma se vi lasciate condurre dalla vostra mente e la lasciate discutere, decidere su ciò che dovete fare, perderete il contatto con
la Forza divina, le energie inferiori cominceranno ad agire a loro modo, e tutto diverrà confusione e falsità. L'essere psichico non può aprirsi pienamente che quando nella sadhana, il sadhaka si sia completamente sbarazzato della 112 confusione, dei moventi
vitali e sia divenuto capace di offrirsi semplicemente e sinceramente alla Madre. Se vi è tendenza egoistica o movente insincero, qualunque essi siano, se si fa lo yoga sotto la pressione di esigenze vitali o più o meno per soddisfare qualche ambizione spirituale
o altro, qualche orgoglio, qualche vanità, qualche ricerca di poteri e onori, o per dominare gli altri, oppure spinti dall'impulso a soddisfare un qualsiasi desiderio vitale con l'aiuto delle forze yogiche, l'essere psichico non potrà aprirsi, o se si apre
non lo farà che in parte, o di tanto in tanto, per richiudersi subito perché velato dalle attività vitali il fuoco psichico si spegnerà, soffocato dal fumo vitale. La stessa incapacità si verifica se la mente vuole attribuirsi la parte preminente nello yoga
e respinge l'anima interiore in seconda linea, o se la bhakti o altri moti della sadhana assumono una forma più vitale che psichica.
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