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18. Talvolta sono formazioni della vostra stessa mente o del vostro vitale, talaltra formazioni della mente di un'altra persona esattamente trascritte o modificate nella vostra; a volte giungono formazioni fatte da forze o da esseri non-umani, appartenenti ad altri piani. Non sono cose vere e non è necessario che lo diventino nel mondo fisico; ma possono in ogni caso influire sul piano fisico se sono state formate con questa tendenza o con questo scopo e, se lo si permette loro, possono realizzare i loro eventi o il loro significato (perché sono generalmente simboliche o schematiche) nella vita interiore o esteriore. Il metodo da seguire nei loro confronti è semplicemente quello d'osservare e di comprendere e, se provengono da una forza ostile, di respingerle o distruggerle. Vi sono altri sogni che non hanno lo stesso carattere, ma sono la rappresentazione o la trascrizione di cose che realmente avvengono su altri piani, in altri mondi, in condizioni diverse dalle nostre. Anche in questo caso vi sono sogni puramente simbolici, altri che indicano movimenti o inclinazioni che esistono in noi, familiari o conosciuti alla mente di veglia, che sfruttano vecchi ricordi o fanno sorgere cose, sia immagazzinate passivamente, sia ancora attive nel subcosciente, tutta una massa di materiali diversi che bisogna trasformare o scacciare a mano a mano che ci si eleva ad una coscienza superiore. Se si impara ad interpretarli, si può ottenere mediante i sogni una grande conoscenza dei segreti della propria e dell'altrui natura. Cercare di rimanere svegli la notte non è il metodo giusto; la soppressione del sonno necessario rende il corpo tamasico e incapace di avere la concentrazione necessaria durante le ore di veglia. Bisogna invece trasformare il sonno e non sopprimerlo, e soprattutto imparare ad essere sempre più cosciente durante il sonno stesso. Se vi si riesce, il sonno si cambia in un stato interno di coscienza, in cui la sadhana può continuare come nello stato di veglia, e contemporaneamente si diviene capaci d'entrare in piani di coscienza diversi da quello fisico, disponendo di un immenso campo di esperienze informative utilizzabili. 87 Nulla può sostituire il sonno, ma esso può essere trasformato e fatto divenire cosciente. Se siete coscienti, la notte può essere impiegata per svolgere un'attività superiore purché il corpo abbia il riposo necessario; poiché lo scopo del sonno è il riposo del corpo e il rinnovo della forza vitale fisica. È un errore privare il corpo del cibo e del sonno come alcuni, spinti da un'idea o da un impulso ascetico, vorrebbero fare; serve soltanto a logorare la struttura fisica e, sebbene l'energia yoghica o vitale possa far funzionare a lungo un sistema organico spossato o in declino, viene il tempo in cui questa tensione non è più tanto facile e forse nemmeno possibile da sopportare. Si deve dare al corpo quello di cui ha bisogno per il suo funzionamento efficiente. Un nutrimento moderato, ma sufficiente (senza avidità o desiderio), un sonno sufficiente, ma non pesante e tamasico, dovrebbe essere la regola. Il sonno che descrivete, dove regna un luminoso silenzio o che reca l'ananda nelle cellule, è evidentemente lo stato migliore. Le altre ore (quelle di cui siete incosciente) possono essere periodi di sonno profondo, durante i quali siete uscito dal fisico per entrare nella mente, nel vitale o in altri piani. Voi dite di essere stato incosciente, ma può darsi semplicemente che non ricordiate quel che è accaduto; al ritorno, infatti, c'è come un rovesciamento di coscienza, una transizione o un cambiamento che fa sì che l'esperienza che si è avuta durante il sonno (tranne, forse, l'ultimo avvenimento oppure qualcosa di molto impressionante) si ritiri dalla coscienza fisica e che tutto si dissipi. C'è un altro stato similare, uno stato d'inerzia che non è solamente vuoto, ma anche pesante e senza ricordi, ed è ciò che si produce soltanto quando ci si immerge profondamente e totalmente nel subcosciente. Un tale tuffo sotterraneo è del tutto indesiderabile; ottenebra, abbassa e, spesso, più che riposare, affatica; è esattamente il contrario del silenzio luminoso. Quello che avete avuto non era né una metà, né un quarto e nemmeno un sedicesimo di sonno; era un'interiorizzazione della coscienza che, in questo stato, resta cosciente ma chiusa alle cose esteriori e aperta solamente all'esperienza interiore. Dovete chiaramente distinguere queste due condizioni che sono assolutamente diverse; l'una è nidra, l'altra almeno l'inizio del samadhi (non il nirvikalpa, s'intende!). Questo ritirarsi nell'intimo è 88 necessario perché la mente attiva dell'essere umano è inizialmente troppo rivolta verso le cose esteriori; occorre rientrare completamente al di dentro per vivere nell'essere interiore (mente interiore, vitale interiore, fisico interiore, psichico). Ma con un po' d'allenamento si può arrivare a rimanere esteriormente consapevoli pur vivendo nell'essere interiore e ad entrare a volontà nello stato introverso o in quello di espansione. Potrete allora avere la stessa raccolta immobilità e il medesimo influsso di una più grande e più pura coscienza tanto nello stato di veglia quanto nello stato che impropriamente chiamate sonno . Una fatica fisica del genere nel corso della sadhana, può avere parecchie cause: 1) Può provenire dal fatto che il corpo riceve più di quanto può assimilare. Il rimedio, allora, è un tranquillo riposo in un'immobilità cosciente che riceve le forze con l'unico scopo di recuperare resistenza ed energia. 2) Può provenire dal fatto che la passività si è cambiata in inerzia; l'inerzia fa scendere la coscienza al livello fisico comune, che si stanca presto e diviene incline al tamas. In questo caso il rimedio è ritornare alla vera coscienza e riposarvisi, invece di riposarsi nell'inerzia. 3) La stanchezza può essere dovuta a un semplice strapazzo del corpo, se quest'ultimo non ha avuto abbastanza sonno e riposo. Il corpo è il sostegno dello yoga, ma la sua energia non è inesauribile ed ha bisogno d'essere risparmiata; si può alimentarla attingendo alla forza di vita universale, ma anche questo rinforzo ha i suoi limiti. È necessaria una certa moderazione anche nell'ardore del progresso; moderazione, non indifferenza o indolenza. La malattia è segno d'imperfezione o di debolezza, oppure di un'apertura a contatti avversi nella natura fisica, ed è legata spesso a qualche oscurità o a qualche mancanza d'armonia nel vitale inferiore, nella mente fisica o altrove. È un'ottima cosa potersi liberare della malattia solo con la fede e il potere dello yoga o per influsso della Forza divina. Ma, molto spesso, non è completamente possibile perché tutta la natura non è aperta o capace di rispondere alla Forza. La mente può aver fede e rispondere, ma può darsi che il vitale inferiore e il corpo non possano seguirla; anche se la mente e il vitale sono pronti, il corpo 89 può non rispondere, o acconsentire soltanto in parte, perché abituato ad ubbidire alle forze che causano un certo genere di malattie, e l'abitudine è una forza molto ostinata nella parte materiale della natura. In tal caso, si può ricorrere ai mezzi fisici, non come soluzione principale ma come aiuto e sostegno materiale all'azione della Forza. Non rimedi forti o violenti, bensì rimedi che siano benefici senza causare disordini. Gli attacchi delle malattie sono attacchi della natura inferiore o delle forze avverse che approfittano d'una debolezza, di un'apertura o di un consenso della natura; come tutto il resto, vengono dal di fuori e devono essere respinti. Se riusciamo a sentirli mentre si avvicinano e se abbiamo la forza e l'abitudine di scacciarli prima che possano entrare, possiamo rimanere immuni da qualsiasi malattia. Anche quando l'attacco sembra venire dall'interno, vuol dire che non si è potuto ravvisare prima che entrasse nel subcosciente; una volta nel subcosciente, la forza che ha introdotto la malattia presto o tardi la spinge ad invadere l'organismo. Se l'avvertite subito dopo che è entrata è perché, benché sia venuta direttamente e non attraverso il subcosciente, non avete potuto scoprirla mentre era ancora all'esterno. Molto spesso viene di fronte (o più spesso di traverso, tangenzialmente) e si apre la strada attraverso l'involucro vitale sottile che è la nostra principale corazza difensiva; ma è possibile fermarla nell'involucro stesso, prima che penetri nel corpo materiale. Allora, si può risentirne qualche effetto, come uno stato di febbre o una tendenza al raffreddore, ma è stata evitata l'invasione completa della malattia. Se si riesce a fermarla prima o se l'involucro vitale resiste da solo e rimane forte, vigoroso ed intatto, allora non c'è malattia; l'attacco non causa nessun effetto fisico e non lascia nessuna traccia. Si può indubbiamente agire dall'interno su una malattia e guarirla. Però non è sempre facile, perché la Materia oppone una forte resistenza: la resistenza dell'inerzia. È necessaria un'instancabile perseveranza; è possibile che all'inizio non si riesca del tutto o che i sintomi possano aggravarsi, ma gradatamente il controllo del corpo o di una particolare malattia diviene più forte. È anche relativamente facile guarire l'attacco fortuito di una malattia con mezzi interiori; più difficile è immunizzare il corpo contro ogni attacco futuro. Una malattia cronica è più difficile da 90 curare, più restia a scomparire di un disordine occasionale. Finché il controllo del corpo è imperfetto, tutte queste imperfezioni e difficoltà, con molte altre, ostacolano l'uso della forza interiore. Se mediante l'azione interiore riuscite ad impedire un aggravamento, è già qualche cosa; dovete allora, mediante abhyasa (Pratica continua), rafforzare questo potere, fino a che divenga capace di guarire.
 

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