11.

11. Quando l'essere psichico è in primo piano, liberarsi dal desiderio è facile, perché l'essere psichico non ha in sé nessun 57 desiderio, aspira unicamente al Divino, Lo cerca e Lo ama insieme a tutte le cose che Gli appartengono e tendono verso di Lui. La costante preminenza dell'essere psichico tende spontaneamente a far emergere la vera coscienza e a rettificare, quasi automaticamente, i movimenti della natura. Esigenza e desiderio sono due aspetti diversi della stessa cosa. Inoltre non è necessario che un sentimento sia tormentoso e agitato per essere un desiderio; al contrario, può essere tranquillamente risoluto, ostinato, o ritornare continuamente. Le esigenze e i desideri provengono dalla mente o dal vitale; il bisogno psichico o spirituale è un'altra cosa. Lo psichico non desidera o esige, aspira. Non pone condizioni alla sua sommissione e non si ritrae se l'aspirazione non è immediatamente soddisfatta, perché ha assoluta fiducia nel Divino o nel guru e può attendere il momento adatto o l'ora della Grazia divina. Lo psichico possiede una propria insistenza, ma fa pressione sulla natura e non sul Divino; posa le sue luminose dita su tutti i difetti che impediscono la realizzazione, setaccia tutto ciò che è confuso, ignorante o imperfetto nell'esperienza e nei movimenti dello yoga, e non è mai soddisfatto né di se stesso né della natura, finché quest'ultima non sia completamente aperta al Divino, liberata da tutte le forme dell'ego, sottomessa, semplice e retta nel suo atteggiamento e in ogni movimento. La supermentalizzazione di tutta la natura diverrà possibile solo quando questa perfezione si sarà completamente stabilita nella mente, nel vitale e nel fisico. Altrimenti, si otterranno illuminazioni ed esperienze più o meno brillanti, semiluminose, semiannebbiate, sul piano mentale, vitale e fisico, ispirate da una mente e da un vitale più vasti, oppure nel migliore dei casi dalle distese mentali situate al di sopra delle regioni umane, tra l'intelletto e il Sovramentale. Fino a un certo punto, possono essere esperienze stimolanti e soddisfacenti, valide per coloro che vogliono ottenere qualche realizzazione spirituale su questi piani; ma la realizzazione supermentale è molto difficile ed esigente nelle sue condizioni, e la cosa più difficile è farla discendere fino al livello fisico. Ci vuole molto tempo per liberarsi completamente dal desiderio. Ma se per una volta riuscite a respingerlo fuori dalla 58 vostra natura e a realizzare che è una forza proveniente dall'esterno che affonda i suoi artigli nel vitale e nel fisico, potrete più facilmente liberarvene per sempre. Vi riesce difficile lottare contro i suoi movimenti e ripudiare la sua antica autorità, perché siete troppo abituato a sentire il desiderio radicato in voi o facente parte di voi stesso. Non dovete affidarvi a nessun'altra cosa, per quanto possa sembrarvi di aiuto se non soprattutto, innanzitutto ed in maniera fondamentale, alla Forza della Madre. Il Sole e la Luce possono essere e saranno d'aiuto se sono la vera Luce e il vero Sole, ma nulla può prendere il posto della Sua Forza. I bisogni d'un sadhaka devono essere il più possibile limitati, perché soltanto pochissime cose sono veramente indispensabili nella vita. Le altre sono utili e decorative, oppure oggetti voluttuari. Uno yogi ha il diritto di possederle o di goderle solo ad una di queste condizioni: 1) Se le utilizza nel corso della sadhana unicamente per allenarsi a possederle senza attaccamento o desiderio e per imparare a servirsene nel modo giusto, in armonia con la Volontà divina, adoperandole come si conviene, organizzandole e sistemandole correttamente e in giusta misura. 2) Se ha già raggiunto la vera liberazione dal desiderio e dall'attaccamento e non si sente in alcun modo minimamente turbato o afflitto per la perdita, l'abbandono o la privazione di esse. Se il sadhaka ha cupidigia, desiderio o esigenze, se rivendica possessi o godimenti, ovvero prova ansietà, rimpianto, collera o dispetto in caso di rifiuto o di perdita, non è spiritualmente libero e l'impiego delle cose che possiede è contrario ai princìpi della sadhana. Anche se è libero in spirito, sarà preparato a possederle solo dopo aver imparato a usare le cose non per se stesso, ma per la Volontà divina, come uno strumento, servendosene con la conoscenza e l'azione giuste, per fornire la sua vita degli elementi necessari perché non sia vissuta per se stessa ma per il Divino e nel Divino. L'ascetismo fine a se stesso non è l'ideale del nostro yoga; il dominio di sé nel vitale e un giusto ordine nel campo materiale ne costituiscono invece una parte molto importante. 59 Tuttavia anche una disciplina ascetica è più favorevole alle nostre intenzioni di una molle assenza di vera padronanza. Dominare le cose materiali non vuol dire possedere molto e sperperare con prodigalità o sciupare in fretta quanto si possiede. La padronanza implica l'utilizzazione giusta e accurata delle cose ed anche il dominio di sé nel loro uso. Se volete praticare lo yoga, è necessario che assumiate sempre di più e in ogni campo piccolo o grande l'atteggiamento yoghico. Nel nostro cammino il comportamento giusto non è una soppressione violenta, bensì il distacco e l'uguaglianza di fronte agli oggetti che eccitano il desiderio. La repressione violenta, il digiuno rientra in questa categoria, si situa allo stesso livello dell'appagamento sregolato: in entrambi i casi il desiderio rimane; nell'uno è nutrito dalla compiacenza, nell'altro resta latente ed esasperato per essere stato represso. Solo col distacco ci si separa dal vitale inferiore, rifiutando di considerare come propri i suoi desideri e il suo scalpore e mantenendo nei loro confronti un'uguaglianza e un'equanimità complete nella coscienza; il vitale inferiore si purifica allora gradualmente e diviene anch'esso calmo ed equanime. Quando arriva un'onda di desiderio, deve essere osservata con la stessa tranquillità e lo stesso impassibile distacco con cui osservate qualcosa che succede fuori di voi, e dovete lasciarla scorrer via, rifiutata dalla coscienza, e mettere al suo posto con ostinazione il vero impulso, la vera coscienza. L'attaccamento a ciò che si mangia, l'avidità e il desiderio che fanno del cibo una parte indebitamente importante della vita, sono contrari allo spirito dello yoga. Esser cosciente che un alimento è piacevole al palato non è una colpa; soltanto, non si deve provarne desiderio o voglia, né gioire nel possederlo né rimpiangerlo o dispiacersi della sua mancanza. Occorre essere calmo ed uguale, non adirarsi e non provare malcontento quando il cibo è insipido o poco abbondante, mangiandone esattamente la quantità necessaria. Non si deve provare desiderio o ripugnanza. Pensare continuamente al cibo e preoccuparsene mentalmente è un modo completamente sbagliato per liberarsi del suo desiderio. Mettete l'elemento cibo al giusto posto nella vita, in un angolino, e non concentratevi su di esso, ma su altre cose. 60 Non permettete alla vostra mente di preoccuparsi del cibo. Prendetene la quantità necessaria (né troppo né troppo poco) senza avidità o ripulsione e come il mezzo che la Madre vi offre per il sostentamento del vostro corpo, nel vero spirito, come offerta al Divino in voi. Allora il cibo non creerà tamas. La soppressione totale del gusto, rasa, non fà parte del nostro yoga. Quel che si deve rifiutare è il desiderio e l'attaccamento vitale, la gola, l'inebriarsi che si prova quando si ha il cibo preferito, il disappunto e il malcontento che ci assalgono quando ci viene a mancare e l'abitudine di attribuirgli un'eccessiva importanza. Anche qui, come altrove, l'equanimità è la pietra di paragone. L'idea di smettere di mangiare è una cattiva ispirazione. Si può sussistere con una piccola quantità di cibo, non senza, se non per un brevissimo periodo di tempo. Ricordate ciò che dice la Gîta: Lo Yoga non è fatto per colui che mangia troppo e neppure per colui che si astiene completamente dal mangiare . L'energia vitale è un'altra cosa; si può assorbirne molta senza cibo, spesso, anzi, aumenta col digiuno; ma la sostanza fisica è diversa: senza di essa la vita perde il proprio sostegno. Non trascurate questa tendenza della natura (il desiderio di cibo) e neppure prendetela troppo in considerazione. Bisogna occuparsene, purificarla e dominarla, ma senza darle troppa importanza. Ci sono due modi di conquistarla. L'uno è il distacco: imparate a considerare il cibo una semplice necessità fisica e non date nessuna importanza alla soddisfazione vitale del palato e dello stomaco. L'altro è divenire capaci di prendere, senza insistenza e senza cercarlo, il cibo che vi viene dato, qualunque esso sia, e sentirvi (indipendentemente dal fatto che gli altri lo trovino buono o cattivo) un rasa uguale, identico in tutto, non il gusto del cibo in se stesso, ma dell'ananda universale. Trascurare il corpo e lasciare che si esaurisca è un errore: il corpo è lo strumento della sadhana e dev'essere mantenuto in buone condizioni. Non si deve avere attaccamento nei suoi confronti, ma neppure disprezzo o trascuratezza per questa parte materiale della nostra natura. 61 Il fine dello yoga non è solo l'unione con la coscienza superiore, ma la trasformazione, tramite il suo potere, della coscienza inferiore, compresa la natura fisica. Per mangiare, non è necessario avere desiderio o essere golosi. Lo yogi non mangia perché lo desidera, ma per sostentare il corpo. 62
 

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